Miller, Bowbly, Goleman, Foti, OMS ....
JUDITH MILLER
Secondo l’autrice ogni bambino è sensibile, capace di captare le aspettative e i bisogni dei genitori e di adattarvisi. Più sono pressanti e inconsapevoli tali richieste degli adulti e più il bambino, per la vitale necessità di sentirsi amato e accettato, tenderà a questo adattamento, non raggiungendo la consapevolezza dei suoi sentimenti più spontanei (la rabbia, la gelosia, l’indignazione, l’invidia, la pa-ura) che risultano inaccettabili alle figure di riferimento.
In questo modo il bambino non riesce a integrare nella sua personalità la parte più vitale del suo “vero Sé”. Nascono da qui insicurezza affettiva e una sorta d’impoverimento psichico, che poi possono sfo-ciare nella depressione o si celano dietro una facciata di grandiosità, o sono destinati a produrre com-portamenti violenti e oppressivi.
JOHN BOWLBY
Negli ultimi anni la teoria dell’attaccamento ha offerto un notevole contributo nello studio e nell’intervento in situazioni di disagio dell’età evolutiva: diversi stili di attaccamento concorrono a generare situazioni di equilibrio o disagio per il minore; in particolare storie infantili di gravi abusi e trascuratezza possono determinare stati di ansia, depressione, abuso di sostanze alcoliche e stupefacen-ti.
Tale modello prende in considerazione i possibili eventi negativi nell’età evolutiva, il contesto rela-zionale in cui hanno avuto luogo e gli aspetti psicologici dell’adulto. Il concetto di “base sicu-ra”elaborato da Bowlby nel 1969 mette in evidenza come la persona fidata, ossia la figura di attacca-mento prevedibile e coerente, attenta nel riconoscere i bisogni del minore, offre al bambino la possibilità di sperimentarsi e quindi di raggiungere uno dimensione psicologica ed emotiva adeguata alle fasi dello sviluppo.
DANIEL GOLEMAN
Con il termine intelligenza emotiva Goleman si riferisce alla capacità di riconoscere i nostri sentimenti e quelli degli altri, di motivare noi stessi, e di gestire positivamente le nostre emozioni, tanto interiormente, quanto nelle relazioni sociali. Il bambino interiorizza le relazioni significative che instaura con gli adulti di riferimento; è quindi importante crescere in un contesto familiare accogliente e orientato al riconoscimento, alla comunicazione e alla condivisione delle emozioni che quindi con-corrono alla costruzione di un’identità funzionale ai diversi contesti di vita.
La ricerca indica che quando i genitori riconoscono, ad esempio, le emozioni negative dei loro bambini (rabbia, tristezza) e li aiutano ad affrontarle, a lungo termine questi riescono a riconoscerle e regolarle sotto il profilo fisio-logico e a sostenere un comportamento positivo.
Quando questo processo non viene messo in atto, i minori tendono a chiudersi in sé ed ad entrare in conflitto tra il volersi avvicinare o evitare l’adulto di riferimento. Il mancato sviluppo di tali dimensioni concorre quindi a generare sofferenza nel minore quando si trova ad affrontare tali situazioni. L’intelligenza emotiva, in quanto abilità appresa e non in-nata, rappresenta un utile strumento per intervenire in situazioni di forte disagio dei minori, quali traumi subiti in famiglia e non affrontati né superati. Tale approccio permette di entrare in relazione con il minore e sviluppare tale competenza al fine di rielaborare e superare le situazioni traumatiche vissute.
CLAUDIO FOTI
Il modello proposto da Claudio Foti e dal Centro Studi Hansel e Gretel, rappresenta un utile strumento di lettura e di intervento nell’ambito del trauma e della risoluzione di situazioni di disagio e sofferenza.
Secondo l’autore quindi, il maltrattamento ha impatto decisivo con la vita emotiva è sempre mal/trattamento, cattivo trattamento delle emozioni di un bambino.
Tale proposta fa riferimento al concetto di intelligenza emotiva come ad una “dimensione relazionale in cui si viene a favorire la capacità di riconoscere e mettere in parola il mondo dei sentimenti e delle emozioni associato alle esperienze e alle relazioni” . Solo attraverso la rielaborazione e risignificazione delle emozioni vissute nell’ esperienza traumatica è possibile andare oltre il trauma e favorire una evo-luzione dell’adolescente integrata sia a livello intra che interrelazionale, prevenendo in questo modo possibili condotte devianti o intervenendo sulle stesse.
OMS
Skill life, 1994 . Tale approccio si inserisce all’ interno delle linee guida suggerite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità per la promozione della salute bio-psico-sociale dell’adolescente. Le Skills Life rappresentano “le competenze sociali e relazionali che permettono ai ragazzi di affrontare in modo efficace le esigenze della vita quotidiana, rapportandosi con fiducia a se stessi, agli altri e alla comunità”.
La mancanza di tali skills socio-emotive può generare, in particolare nei giovani, l’instaurarsi di comportamenti negativi e a rischio in risposta agli stress.